Uncategorized – Pagina 2 – Sara Tamponi
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Quando scoprii il ghostwriting

Ricordi il libro sull’uncinetto? 

Devo ammettere che, dopo averlo letto a distanza di tempo, l’ho trovato piuttosto noioso. Per quanto quelle creazioni colorate siano davvero carine, cimentarmi in quell’attività da persone pazienti non mi è mai passato per la testa. 

Beh, per fortuna l’universo – metaforicamente parlando – è venuto in mio aiuto, dandomi la possibilità di dedicarmi alla scrittura di qualcosa di molto più interessante.

Ma te lo svelerò tra poco, prima facciamo un passo indietro. 

Mia madre è sempre stata una persona molto spiritosa, quella dalla battuta per cui hai bisogno di un attimo per decifrarla perché magari solo lei è in grado di capirla; e, quando poi te la spiega con occhietto ammiccante, effettivamente sì, fa ridere. 

Quando scrissi il manuale ricordo che mi trovavo in cucina immersa nel delirio delle tecniche di amigurumi (in italiano, i pupazzetti che puoi creare con l’uncinetto) mentre lei stirava nella stanza a fianco, ascoltando paziente tutti i miei timori sul non riuscire a rispettare le scadenze. 

Posso dire che visse insieme a me l’esperienza. Quando finii il manuale – cosa che mi succede tutt’ora – piansi dall’emozione e lei mi prese in giro bonariamente per la mia emotività eccessiva; però, rimase sempre lì con me. Non mi abbandonò mai, neanche per un istante, ed era sempre pronta a sostenere i miei progetti. 

Ricordo che, qualche giorno dopo la fine di quell’odissea, mi chiamò in camera sua per dirmi che voleva mostrarmi una cosa: mi porse una bustina e all’interno trovai degli uncinetti in acciaio di diverse misure. Li guardai emozionata, alzai la testa e le sorrisi: sapeva perfettamente cosa significassero per me. Dopo averla ringraziata, mi guardò seria e mi disse: 

<<Questo è per aver concluso il tuo primo libro. Sono sicura che sarà uno dei tanti>>

Ero elettrizzata. Per me gli uncinetti erano solo l’inizio di una lunga strada che non vedevo l’ora di scoprire. 

Ma, per quanto i libri siano da sempre il mio più grande amore, non mi facevano guadagnare abbastanza, e neanche una settimana dopo iniziai un altro lavoro. 

Era noioso, ripetitivo, alienante ma necessario, perché mi avrebbe permesso di compiere qualche passo in più nella direzione che avevo stabilito. 

Resisti, mi dissi, e ancora oggi me lo ripeto. Coltivare un sogno richiede tempo, costanza e pazienza; e io paziente non lo sono mai stata, ma sapevo anche quanto fosse forte il desiderio di raggiungere il mio obiettivo.

Così, mi arrivò una proposta in un momento inaspettato, mentre tentavo ogni tipo di approccio nella speranza di ricevere anche solo un briciolo di considerazione. Nella testa avevo un pensiero fisso, anzi, per meglio dire un’immagine: una piccola Sara che tentava di farsi spazio tra la folla, con gli occhiali sbilenchi e un quaderno e una penna in mano: 

Ehi! Ehi! Ci sono anch’io, leggimi! 

Nel frattempo bazzicavo su ogni sito che mi capitava sotto mano per conoscere più da vicino l’identità di quella figura nascosta che nessuno conosceva, capace però di dare vita a delle storie bellissime. 

Insomma, evidentemente qualcuno un giorno aveva preso il suo binocolo e scoperto quella piccola Sara che si sbracciava, perché quel qualcuno mi scrisse. 

Era una mattina di marzo, che avevo trascorso in compagnia di clienti che si lamentavano al telefono per la loro connessione difettosa. 

Contavo i minuti in attesa della pausa e, quando arrivò, buttai un occhio al telefono e vidi una notifica: potevo leggere solo l’anteprima, ma avevo troppo poco tempo per approfondire. Una parola però mi aveva subito colpita: libro

Avevo trascorso diversi anni cercando di mettermi in contatto con una casa editrice. Intasavo le loro caselle di posta per ottenere qualsiasi cosa: mi sarebbe bastato poco per ritagliarmi il mio piccolo spazio in quella realtà. Dopo quel manuale, poi, la mia immagine mentale di pile di fogli e penne rosse si era ripresentata con forza e pretendeva di essere accontentata. 

Fatto sta che quella mattina mi contattò un’agenzia editoriale proponendomi di scrivere una storia, per la precisione una biografia aziendale. Ciò significava che, per la prima volta, avrei potuto scrivere il libro di una persona vera, con i suoi drammi e i suoi successi. Sarei diventata una scrittrice fantasma. 

L’uncinetto era stato solo l’inizio: mi aveva dato tantissime emozioni, ma stavolta si trattava di una storia vera, la prima in assoluto in cui avrei potuto finalmente mettermi alla prova.

Quella mattina, al rientro dal lavoro, chiamai mia madre con due lacrimoni giganti e la voce tremante: qualcuno aveva deciso di darmi fiducia, dunque i miei sforzi – e i miei uncinetti – erano serviti. 

Quel libro diede vita a un secondo, poi a un terzo e un quarto: i miei contatti si ampliarono e le mie capacità crebbero ogni giorno di più. 

Rimanevo sempre nell’ombra, perché sui libri il mio nome non c’era mai. 

Ero e sono una scrittrice fantasma: quelle storie vedono la luce ma non si può dire lo stesso per la mia identità. Raccolgo sogni, ne faccio tesoro e butto giù delle storie. 

Vidi così un altro tassello aggiungersi, un’altra tappa prendere forma nella mia mente. 

Le mie incertezze iniziarono a svanire, in favore di una realtà che mi vedeva rendere felice gli altri servendomi della scrittura. 

Così ho scoperto la mia passione per il ghostwriting. 

Avevo sempre amato le storie, vere o meno, e quella fu l’occasione perfetta per fare mie quelle esperienze, in un certo senso. 

Potevo scoprire le persone, aiutarle, capirle. 

E non potevo essere più felice.

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Cosa vuoi fare da grande?

<<Cosa vuoi fare da grande?>> 

Eccola, la magica domanda dei parenti al pranzo della domenica. 

Ero al terzo anno delle medie e nei banchi di scuola iniziavano a comparire tutti quei volantini sull’orientamento che ti avrebbero indicato la tua strada e fatto scoprire la tua passione. Avevo tredici anni e l’unica cosa a cui pensavo era quel ragazzino che in tre anni non mi aveva mai degnata di uno sguardo perché ero troppo magra, bruttina e con gli occhiali. E chi pensava al proprio futuro?!

Da quel momento iniziai a pormi la fatidica domanda perché non potevo più sfuggirle: te lo chiedevano i professori, così come i genitori e i nonni al pranzo della domenica. Ma io non ne avevo davvero idea. Aspettavo con ansia l’arrivo dell’estate per salire sulla canoa e andare al largo sugli scogli, da cui staccavo le patelle per sentire il sapore del mare sulla lingua. 

Decisi allora di scavare tra le mie scarse conoscenze e mi concentrai sull’unica cosa con cui pensavo di cavarmela: le lingue straniere. Già dai primi anni delle elementari avevo mostrato una certa propensione per lo spagnolo, ero brava con la pronuncia e memorizzavo tutto facilmente. 

Poi, durante le scuole medie, la mia insegnante di inglese mi disse che quella delle lingue era la mia strada. Certo, era una fumatrice incallita con la pelle stramacchiata. Le fotocopie che distribuiva in classe puzzavano di sigaretta e la sua voce roca mi faceva un po’ paura, ma la ascoltai ugualmente. I miei genitori si trovarono d’accordo con lei e mi iscrissi al liceo linguistico. 

Gli anni successivi ebbi la dimostrazione da me stessa che, nonostante di studiare non mi fregasse una cippa, le lingue straniere non mi richiedevano granché impegno; così mi convinsi che quello sarebbe stato il mio percorso. 

Con il passare degli anni diventai sempre più brava, la mia dimestichezza con l’inglese e lo spagnolo aumentarono e puoi immaginare quale indirizzo scelsi all’università: lingue e comunicazione. Scontato. Del resto, ero brava, no? 

Beh, in realtà, quando a diciannove anni iniziai il nuovo percorso di studi, mi si aprì un mondo. L’indirizzo aveva pregi e difetti: da una parte era disorganizzato, poco coerente e privo di una direzione ben precisa. Dall’altra, la varietà dei corsi accese il mio interesse su strade che non avevo mai considerato: giornalismo, comunicazione pubblicitaria, traduzione, scrittura.

Le scelte erano troppe, io ero una perenne indecisa e non sapevo dove sbattere la testa: troppi stimoli ma poche certezze. 

In quegli stessi anni, quella fastidiosa domanda si ripresentò in veste adulta, e nuovamente mi chiese: cosa vuoi fare da grande? 

Non lo sapevo. Mi piacevano tutti i corsi che frequentavo ma non bastava. Ogni tanto, però, nella mia mente si affacciava un’immagine: camminavo in mezzo ai grattacieli, con una tenuta da ufficio e una valigetta alla mano, mentre con l’altra reggevo il telefono che era perennemente attaccato al mio orecchio. 

Tutto sempre, troppo vago. Che diamine significa?, mi chiedevo. 

Mi trascinai quell’immagine per diversi anni, ma non seppi mai darle un nome: un contesto amministrativo forse? Sì, ma in cosa? E i miei punti di domanda aumentavano. 

Beh, posso dirti che quell’immagine mi accompagnò per diversi anni finché si sostituì a un’altra. China sulla scrivania sotto la luce di una lampadina, mi vedevo intenta a correggere pile e pile di fogli con una penna rossa, leggendoli avidamente alla ricerca della forma perfetta che avrebbe reso un libro vero quel manoscritto disordinato. 

E stavolta invece, di che si trattava? mi chiesi, ancora. 

Te lo spiegherò più avanti.

Mi laureai e, con il passare dei mesi, misi da parte quelle immagini perché troppo presa dalla ricerca di un lavoro. 

Impiegai un po’ di tempo a trovarlo, finché approdai in una libreria. I libri mi sono sempre piaciuti, e girare tra gli scaffali ad annusarli mi piaceva ancora di più: ma sentivo di non essere felice come avrei voluto. Mi mancava qualcosa, ma quel qualcosa era un cartoncino di un gioco a premi con un enorme punto interrogativo: come avrei fatto a capire? Sarei dovuta andare per esclusione in eterno, fino a trovare la risposta alle mie domande? 

Così, dopo quella breve esperienza, tornai punto e a capo. Trascorsi mesi confusi in cui vagavo tra frustrazione, insoddisfazione e ossessione perché mi sentivo in ritardo rispetto alla tabella di marcia; mi avvicinavo all’età adulta e mi sembrava di non aver fatto neanche un passo avanti. E, quando mi guardavo intorno, tutti sembravano così sicuri della propria strada, mentre io ero ancora lì, con la stessa domanda che mi ronzava in testa a tredici anni. 

Non avevo un lavoro, inviavo una marea di mail con il mio curriculum a tutte le aziende che mi capitavano a tiro: qualsiasi cosa sarebbe andata bene. Magari avrei iniziato un altro lavoro per poi scoprire che neanche quello mi avrebbe resa felice? 

Nel frattempo leggevo, con il desiderio di perdermi in quei mondi che non mi facessero pensare al mio, troppo difficile e in salita. Decisi di parlarne con mio fratello maggiore una sera, che senza troppe esitazioni mi disse: 

<<Perché non scrivi?>>

Di fronte alla sua domanda la mia mente andò indietro di diversi anni e mi ricordai di quando, a nove anni, avevo scritto su qualche pagina strappata da un quaderno a righe una fan fiction di Harry Potter; molto molto confusa eh, però ci avevo messo tantissimo impegno.

Così iniziai a buttare giù qualcosa su Medium, un sito di condivisione che uso tutt’oggi: principalmente i contenuti erano i miei pensieri frustrati e le mie insicurezze, ma mi resi subito conto che mi aiutava a stare un po’ meglio. 

Da quel momento la scrittura divenne il mio modo di sfogarmi e di liberarmi di tutti quei pensieri che altrimenti sarebbero rimasti a frullare dentro la mia testa, senza darmi mai pace.

Iniziai a informarmi sul web, alla ricerca di qualche progetto di scrittura su commissione; non avevo un briciolo di esperienza, ma sapevo essere insistente; così, dopo vari tentativi, qualcuno mi rispose. 

Mi ritrovai a scrivere articoli sui temi più disparati: recensioni di prodotti amazon, articoli su  diete e alimentazione e contenuti per siti web, fino a ricevere un giorno la proposta per la stesura di un vero e proprio manuale. 

Era finalmente arrivato il momento del grande romanzo avvincente?

Beh, non proprio. Era un manuale sull’uncinetto, e a dir la verità non ne avevo neanche mai visto uno. 

Così feci le mie ricerche, studiando quella pratica antica e tutte le tecniche di cucito a essa legate. Di lì a breve avrei iniziato un altro lavoro che ben poco aveva a che fare con la scrittura, quindi il tempo a disposizione era davvero poco: scrissi il manuale in due settimane, buttai giù un sommario e alla fine scoppiai in lacrime. 

Avevo scritto il mio primo libro. Poco importava il tema: era ben lontano dal romanzo dei miei sogni ma era un libro vero e proprio, con un inizio e una fine. 

In quel momento, dopo anni di pensieri confusi, iniziai a capire qualcosa. 

Chissà, forse nelle lingue ero molto più brava, ma scrivere mi piaceva davvero. Mi emozionava, mi accendeva, mi faceva piangere dalla felicità. 

Ed era proprio ciò che stavo cercando. 

E oggi ti dico, non importa quanto tempo ho impiegato. Negli anni avevo escluso tante strade finché la scrittura mi ha trovata, diventando la mia compagna di viaggio.

Lei non risponde alla domanda “cosa voglio fare da grande”, perché cercare a tutti costi quella risposta a un certo punto smise di essere la mia priorità. Avevo trovato la mia fonte di sfogo, di emozioni e di sorrisi, e questa era l’unica cosa che per me contava davvero. 

L’uncinetto fu solo l’inizio del mio percorso, perché dopo ricevetti una risposta anche alla mia immagine mentale di grattacieli, telefono e valigetta. 

Ma questa è un’altra storia.

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Esprimi un desiderio

Un ragazzo siede su una poltrona in vimini nel suo giardino.
Tiene una mano appoggiata sulla coscia mentre con l’altra accarezza il suo cane.
Fissa il ramo di un albero di fronte a sé e pensa.
All’improvviso si alza, recupera il casco e sale in sella alla sua moto; ancora non sa dove è diretto.

Una ragazza siede su una poltrona in vimini nella sua veranda.
Tiene il computer in grembo mentre cerca di buttare giù parole faticose. Le idee non mancano ma le frasi sono difficili, non vogliono venir fuori. Cerca di concludere un progetto che si trascina da mesi ma è come un sogno in cui scende gli scalini e ogni passo è lento, infinito, come se le gambe non rispondessero ai suoi comandi.
Fissa lo schermo e i pensieri scorrono.
Inizia a battere nervosamente un piede sul pavimento.
Lo schermo del telefono si illumina.
Una notifica.

<<Sigaretta e due chiacchiere di fronte al mare?>>

Sembra che la proposta sia arrivata al momento giusto.
Si fa una doccia, mette il mascara, raccoglie i capelli in una coda e recupera il casco.

No, lui non sta andando da lei e lei non ha ricevuto un suo messaggio.
Ci sono solo quella poltrona in vimini e il casco, ma non si conoscono.
Lui è diretto chissà dove, perso nei suoi pensieri. Lei conosce la sua meta: è il suo posto del cuore, quello di quel primo bacio.

Mare pensieri vento sulla sella tramonti chiacchiere e sigarette si sfiorano ma non si incontrano mai.

I loro pensieri sono diversi ma la sensazione è comune: impotenza.
Entrambi vorrebbero ottenere qualcosa su cui non hanno il controllo. Che si tratti di un amore o di un sogno nel cassetto non importa: il loro traguardo, però, sembra non arrivare mai.

Scrivo sul telefono perché ho paura di farlo al pc e magari le parole non usciranno. Si sono fermate troppe volte e stavolta gli scalini del sogno non sono in discesa ma in salita e io non riesco a muovere neanche un passo.
Li ho fatti di corsa per mesi non con la speranza, ma con la certezza di arrivare.

Adesso la certezza vacilla.
Il corpo è immobile e la mente è annebbiata.
Sarà colpa dei quaranta gradi brucia neuroni per due mesi di fila?
Sarà questo silenzio che toglie la parola perché nessuno ti ascolta?

Uno, due, tre.
La pietra rimbalza tre volte sull’acqua e io esprimo un desiderio.

Lui è al mio fianco e ha una fede incrollabile. Sa che tutto si risolverà.

<<È un periodo di transizione. Saremo felici, vedrai>>

Lo guardo e annuisco. Gli credo, mi fido di lui.

<<Mi vuoi bene?>>

<<Più di quanto immagini>> mi risponde, mentre mi dà un bacio sul naso.

Gli prendo la mano. È calda e asciutta, mi dà un senso di calma.

<<Siamo noi quello che conta davvero>>