Uncategorized Archivi - Sara Tamponi
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Tristezza da compleanno: come affrontarla?

Una ragazza di profilo con il mento appoggiato su una mano che guarda con tristezza il mare

La tristezza da compleanno va accettata.

“Ah beh grazie, adesso sì che hai risolto i miei problemi!”

No, certo, farlo non è semplice. Soprattutto quando stai ancora cercando di capire a cosa sia dovuto quello strano senso di disagio e malinconia a pochi giorni dalla fatidica data.

Io, per esempio, l’ho provato per la prima volta due anni fa, quando dovevo compiere ventinove anni. E non riuscivo proprio a capacitarmi di quella tristezza improvvisa, io che ho sempre atteso il giorno con ansia e con il solo desiderio di festeggiare e di divertirmi.

Oggi, beh, conosco un po’ meglio la sensazione: fatico ancora ad accettarla ma ci sto lavorando, quindi spero che i miei consigli possano essere utili anche a te!

Accogli il disagio (sono seria)

La tristezza da compleanno colpisce sia il corpo che la mente.

All’inizio avverti un po’ di stanchezza, poi subentra la voglia di non fare assolutamente nulla: pianificare la giornata diventa un incubo, così come contattare le persone che dovrebbero essere lì con te a festeggiare. L’unica cosa che vorresti fare è sbuffare in giro per casa infastidendo il/la tuo/a partner (senza volerlo) e il tuo gatto (se lo hai).

Dentro di te si è annidato un piccolo essere fastidioso e lamentoso che non farà altro che gridare il suo disagio e…nulla, dovrai ascoltarlo. Facci pace, almeno per qualche giorno. Se ha deciso di presentarsi, l’ha fatto per un motivo.

Io prima tendevo a respingere quella tristezza, oggi la lascio entrare. Quindi non preoccuparti: farà i bagagli quando sarà il momento.

Scrivi ciò che provi

Da quel famoso giorno di due anni fa ho deciso di parlarne con me stessa.

Riporto la mia tristezza da compleanno su un’agenda, sulle note del telefono o online: non importa il mezzo, ciò che conta è mettere le parole in fila per cercare di dare un senso a ciò che stai provando.

Mettere nero su bianco i propri pensieri è quanto di più utile puoi fare per districare il casino che hai in testa e avere maggiore lucidità sulle tue sensazioni. Questo ti aiuterà non solo a capirle, ma anche a gestirle meglio senza voler mordere un cuscino per la frustrazione (in passato l’ho fatto).

(Non) Pensare di aver fallito

Perché il “non” tra parentesi?

Perché i tuoi cari che ti ripetono “non è vero che hai fallito, non pensare così!” non cambiano nulla, diciamoci la verità. Ciò che conta è ciò che pensi tu, e se pensi di aver fallito hai le tue buone ragioni.

Il compleanno per tanti (e mi includo a mani basse) significa il compimento di un altro anno senza aver raggiunto il proprio obiettivo. E sì, anch’io non l’ho raggiunto, per questo ti dico che è normale pensarlo e che non devi accontentare chi ti circonda con un atteggiamento che in questo momento non ti appartiene.

Sentiti libero di pensare di aver fallito, ma datti una scadenza: come la tristezza da compleanno, anche questo sentimento deve essere passeggero. Ritaglia uno spazio per il tuo dispiacere, ma ricordati di farlo seguire da qualcosa che ti permetta di pensare al fallimento come la conclusione di un percorso e l’inizio di un altro.

Te lo dice una che nei pensieri tristi ci ha sguazzato a lungo. E no, non servono a nulla, o almeno non quando diventano il tuo stile di vita.

Con il filler la vecchiaia non per forza è una condanna

La tristezza da compleanno spesso risiede nella paura della vecchiaia. Il tuo bel visino liscio e pulito inizia a mostrare le prime rughe di espressione, la pelle non è più così omogenea e…

E il filler non è più solo per i ricchi. Nel 2025 è infatti diventato molto più accessibile e c’è chi vi ricorre spesso per sfuggire ai segni del tempo. Perché è naturale invecchiare tanto quanto è naturale averne paura.

Quindi, se oggi esistono dei rimedi che ti aiutano a stare meglio con te stess*, non vedo perché demonizzarli. Il mio personale parere è che non c’è assolutamente niente di male nel servirsi di questi trattamenti, quindi via libera al filler per combattere la tristezza😀

Scegli ciò che ti fa stare meglio

La pressione sociale e le tradizioni, se soffri di tristezza da compleanno, vanno evitate come la peste.

Compiere gli anni non deve per forza significare circondarsi di persone, comprare tonnellate di panini e pizzette e soffiare le candeline sulla torta a ritmo di “tanti auguri”.

Se hai voglia di stare da sol* e scofanarti di gelato sul divano, fallo. Se vuoi infilarti un paio di cuffie e isolarti dal mondo da mattina a sera, fallo. Scegli qualsiasi cosa che metta al primo posto le tue esigenze e non quelle di chi si aspetta qualcosa da te.

È il tuo compleanno, quindi decidi tu. Vogliti bene. Ora vado a (non) organizzare il mio, di compleanno.

Spero di esserti stata d’aiuto! 💙

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Beauty da viaggio: cosa mettere?

Un beauty da viaggio blu jeans con un gatto nero

Nel beauty da viaggio bisogna mettere l’essenziale: tonico, crema e mascara, per esempio, per me sono fondamentali.

Ma non è che l’abbia deciso oggi. Magari. Negli anni ho preparato una quantità spropositata di liste, rigorosamente cartacee, scritte ed evidenziate per capire a cosa dare priorità.

Nel mio caso specifico capita spesso che viaggi in moto, quindi ho dovuto ridurre all’osso i miei prodotti (lacrimuccia). Però ritengo sia una lista valida per chiunque, così ho pensato di proportela nella speranza di semplificare i tuoi preparativi.

Partiamo!

Tonico

Il protagonista indiscusso dei beauty da viaggio, colui che tamponi sul viso al mattino per levare i segni del cuscino e gli occhi pestati. Il tonico è uno dei miei migliori alleati perché anche se ho dormito tre ore (e in viaggio sappiamo quanto sia frequente) lo nasconde egregiamente.

Ho provato diversi prodotti ma sono sempre fedele allo stesso, il tonico alle rose di Roberts: è super economico e ha un profumo piacevole e delicato. Mia madre l’ha sempre usato e io ho seguito le sue orme. Esiste anche la versione da viaggio da 100 ml!

Crema viso SPF

Nelle cose da mettere nel beauty da viaggio non può mancare la protezione solare, da usare non solo quando si va in spiaggia ma anche in città. Insomma, per tagliare la testa al toro è bene metterla sempre: è il modo migliore per prevenire le rughe.

La mia indecisione è sempre stata la stessa: porto sia la crema viso che la SPF o solo la seconda? Insieme occupavano troppo spazio così ho optato per la protezione solare.

“Ma la crema solare mi unge!”

In realtà basta solo scegliere il prodotto giusto. Io uso la crema viso CeraVe con protezione 50, ma ho la pelle piuttosto secca, quindi opta per quella più adatta al tuo viso.

Shampoo

Se manca il bagnoschiuma poco male, si può comprare in un supermercato o, in alternativa, puoi accontentarti delle mini-saponette che trovi negli hotel o nei b&b.

Lo shampoo, beh, è un altro paio di maniche, soprattutto se ti basta usarne uno diverso per ritrovarti una matassa informe e nodosa al posto dei capelli. Io preferisco non rischiare, quindi trasferisco sempre il mio prodotto di fiducia in una boccetta da 100 ml.

Se anche tu pasticci la tua lista cartacea sottolinea lo shampoo. Più volte.

Mascara

E il make-up? Cosa posso mettere nel beauty da viaggio senza rovesciarci dentro palette, illuminanti e compagnia cantante?

Il mascara. Sono sicura al 100% che ti basterà. Il rimmel è il makeup per eccellenza perché se ti sei svegliat* con la faccia di chi è prossimo alla morte, lui ti aiuterà. Curerà tutti i tuoi dispiaceri. Con me l’ha sempre fatto, quindi fidati del tuo mascara.

Io uso lo stesso da anni, è il mascara Lash Princess di Essence: è economico e ne basta poco per allungare le ciglia e dare volume. Ma anche qui è questione di gusti, ci sono tantissimi mascara in commercio. Basta che non dimentichi di metterlo nel tuo beauty da viaggio!

Balsamo labbra colorato

Sì, i rossetti sono piccoli e occupano poco spazio, ma perché rischiare di perdere in viaggio il tuo preferito?

Idratante e versatile, il balsamo labbra è un’ottima soluzione. Puoi indossarlo sia durante il giorno che per uscire la sera: ti basterà scegliere il colore più adatto al tuo viso e non avrai bisogno di portarti duecento rossetti dietro (l’ho fatto, tante volte).

Io ho sempre optato per il burrocacao classico fino all’anno scorso, quando ho deciso di farmi comprare dalle colorazioni di Labello che adesso ha aggiunto persino la combo labbra e guance. E poi il profumo si sa, ti fa venire voglia di mangiarlo.

Ho volutamente evitato oggetti obbligatori come deodorante e spazzolino, concentrandomi sui prodotti beauty che per me in viaggio non possono mai mancare.

Spero di esserti stata d’aiuto! 😀

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25.03-28.03

25.03.25

I giorni passano e tutto si ripete allo stesso modo. Pianti, brutti pensieri, cuore accelerato. Ansia ansia ansia sempre più forte. Mi si spezza il respiro e sento la schiena scaldarsi. Quando sono in compagnia fingo che non stia succedendo nulla. Da fuori deve sembrare che sia tutto okay. Sono brava a fingere. Sembra che stia bene ma dentro muoio.

Oggi mi chiedo quanto tempo sia passato. Da quanto siedo su questo divano, da quanto ripeto le stesse azioni in loop. Inizio a chiedermi quale sia il senso di tutto. Perché mi sia sempre focalizzata su un lavoro, su IL lavoro, quello che finalmente mi avrebbe dato qualcosa. Mi avrebbe fatto sentire qualcosa, qualcuno. Per stare bene con me stessa, per arrivare a quella che credevo una felicità definitiva.

Ma in fondo è vero? È il lavoro, quello giusto, che può cambiare le cose? O dipende da come io le guardo?

Lascerò che i giorni scorrano e che mi insegnino ancora qualcosa. Lascerò che mi facciano trovare altre parole e che mi insegnino a crescere, a distaccarmi da una certezza che in realtà era ed è sempre stata solo una mia convinzione.

Lascerò che le stagioni scorrano, mentre io attendo che cambi qualcosa. Cambierà l’orario, spunterà il sole, e forse avrò in mano qualcosa di nuovo. Andrò al mare, e aspetterò che lui mi sussurri l’ispirazione. Che mi dica le parole giuste che io dovrò riportare sul foglio. Sarà il mio compito. Sarò la sua interprete.

Quando farà caldo metterò la protezione solare perché temo fottutamente le rughe. E scambierò qualche parola di circostanza con un’amica, perché forse oggi preferisco tenere per me ciò che provo. Continuerò a bere un solo caffè al giorno, due quando mi sento ribelle, e li gusterò come la cosa più prelibata perché amo il caffè e ne berrei un litro, ci butterei la faccia dentro se non scottasse. O se avessi uno stomaco che funziona.

Guarderò le nuvole vedendo del cibo nelle loro forme perché ho un evidente problema con tutto ciò che si può ingurgitare. E scoccerò i gatti che trovo per strada, e continuerò a scrivere ‘sta boiata quando ne avrò voglia.

28.03.2025

Avevo perso la capacità di esprimermi. No, non quello, parlare sapevo ancora farlo. Ma ero come un guscio vuoto. Anzi no, quello andrebbe bene per un bebè che non ha alcuna esperienza del mondo. Io ero un guscio svuotato. Un contenitore che aveva avuto dentro per anni colori, ricordi e profumi. Ora erano rimaste solo flebili tracce, come le fragranze sulle striscioline di carta della profumeria che dimentichi dentro il cappotto. No, non avevo perso la capacità di esprimermi. Solo dentro di me, forse, non c’era più niente da dire. Avevo detto tutto e ora avevo finito.

Di cosa si scrive? Di tutto, di qualunque cosa ti passa per la testa. Ma lì, nel cervello, passa ancora qualcosa? È possibile non avere più niente da pensare? Più nessun parere, più nessuna rabbia, fastidio. Lacrima. Le lacrime scaturiscono da un pensiero triste, o da un’emozione felice. Il risentimento da un’offesa, la voglia di fare da un desiderio, da una curiosità. Iniziavo qualcosa e mollavo. Ne iniziavo un’altra e mollavo. Mi guardavo allo specchio e mi spazzolavo i capelli ma mi evitavo, non incrociavo mai il mio sguardo. Le idee erano finite. Il fuoco si era spento. L’inverno era finito e in me era cambiato qualcosa, ma quella sbagliata. Avevo smesso di tenermi per mano. Avevo lasciato che cadessi nel pozzo delle incertezze e mi ci ero persa dentro.

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Forse è solo colpa di gennaio

A ventisette anni ero convinta che avrei spaccato il mondo.

Avevo da poco lasciato casa dei miei, con due spicci guadagnati in un call center. Scrivevo anche libri per due spicci, per conto di altri, come ghostwriter.

“Quando diventerò ricca” ripetevo spesso. E lo dicevo anche con una certa convinzione.

Oggi sono rientrata a casa dopo aver visto il mare, e ho pensato all’ultima volta che ho scritto. Un brevissimo pezzo che risale a due, tre mesi fa.

Ormai non scrivo quasi più. Ho compiuto trent’anni e quella meravigliosa bolla è esplosa. Pouf. Li ho compiuti mentre facevo un lavoro merdoso, con cui mi sono pagata un corso.

Ho lasciato quel lavoro, ho finito il corso. “L’editoria è un casino, qui in Sardegna non si trova nulla. Non ti si filano” mi vedo mentre lo dico, con l’aria di chi l’ha accettato e ha deciso di rinunciarvi, senza troppi rimpianti. Ci ho sbattuto la testa troppe volte. “La scrittura pubblicitaria va di più, serve la SEO!” dico con una nuova luce negli occhi. Determinazione fortissima direi. “Stavolta ce la faccio”. L’ho detto quattro mesi fa.

È quel che è rimasto di un sogno che mi porto dietro da troppo tempo. Lo tengo in mano con poca convinzione, lo trascino come una bambina che ha giocato troppo con la sua bambola preferita.

La bambina va dalla mamma: “mamma, la mia bambola non parla. Perché non parla?” Beh, una bambola non può parlare, lo sappiamo no? Ma anch’io me lo son chiesta tante volte, come la bambina. “Perché non funziona? Perché mi sbatto e mi faccio il culo e mi taglio in quattro e il sogno non prende il volo?

Credo che un sogno possa spegnersi. Lo strapazzi e lo strofini e lo svisceri talmente tanto che, alla fine, perde il fascino. L’ho fatto talmente tanto che qualche giorno fa ho detto al mio ragazzo “l’alimentazione! Mi piace! Avrei dovuto studiare biologia”. Ebbè.

Si è consumato come un legnetto al fuoco. Ecco sì, penso sia successo questo.

O forse è solo colpa di gennaio. Mi fa venire pensieri tristi. Odio gennaio.

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Senza titolo

Sei spaventoso.

Non hai occhi per guardarmi né bocca per parlare.

Eppure, sento che mi fissi. Quel bianco vuoto che vorrei sporcare, ma non ho il coraggio. Non l’ho più, perché non mi sento all’altezza. O forse perché non ci siamo guardati per troppo tempo. Non volevo affrontarti.

Ora ci provo, penso a cosa voglio dire. Ma nella mia testa c’è solo un motivetto di una nuova canzone che ho provato a cantare appena sveglia, con i capelli incasinati e gli occhi ancora pestati. Penso ai video di meal prep che guardo all’ora di pranzo. A comprare un frullatore. A cosa farò oggi, domani e il giorno dopo.

Poi ci sono la circolarità, le leve di persuasione, le landing page e i corsivi usati male. Sono i miei studi, le cose che sto imparando in questi mesi. C’è la rabbia per quest’anno schifoso. Cerco di spegnerla. È difficile.

Penso che si possa creare una storia dalle cose più banali. Tanti lo fanno. Ci vuole coraggio per farlo però. L’ho già detto all’inizio. Ma potrei nascondermi dietro la circolarità. Sì, ho ripetuto coraggio con uno scopo, perché così rimane impresso. Metto un’informazione in alto, poi la riporto in basso, è tutto studiato.

Ma non è vero.

Vediamo cosa esce fuori? Proviamo.

Mi sveglio con una fitta alla tempia, il mio corpo è un rottame. Ieri ho esagerato in palestra. Mi alzo dal letto e vado a fare colazione. Tolgo due pancake dal freezer e li butto in microonde. Fisso il piccolo schermo e i secondi che passano, poi prendo i pancake e li metto su un piatto, versandoci sopra un po’ di marmellata. Senza zuccheri, ci mancherebbe. Appena finisco apro la finestra. L’aria è più fredda del solito. Adesso è novembre davvero. Trascorro l’ora successiva sul divano. Leggo le notizie, scrollo i post sui social. Riascolto una canzone uscita la notte prima. Provo a cantarla, memorizzo il testo, poi chiudo Spotify e accendo il pc. Ho una bozza di un’esercitazione da consegnare. La sistemo e la mando alla docente.

Poi penso a lui. Quello che è sempre stato il mio migliore amico ma che ho deciso di ignorare per mesi. Volevo continuare a farlo, ma sono un po’ tentata. Fisso l’icona per qualche secondo, poi ci clicco sopra.

Eccolo. Il foglio bianco spaventoso, senza occhi né bocca. Sento che mi giudica. O forse non ci siamo guardati per troppo tempo.

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Rapisce come il canto

Parla e fingo di ascoltarla.

Annuisco quando chiede un feedback.

“Certo, chiaro. Ho capito”

Tengo l’altra mano nascosta sotto il tavolo, guardo in basso e aggiorno la pagina sullo smartphone. Compulsivamente. Senza tregua. Ogni trenta secondi.

Ti prego. Ti prego. Ti prego.

Non mi rivolgo a qualcuno di preciso. Non sono credente, non lo sono mai stata. Aspetto un segnale, quello che inseguo da anni. Mi sembra di sentirlo gridare. “Sei libera! Libera!”

Il mio cuore scalpita al solo pensiero, sento l’adrenalina che scorre in attesa del momento in cui potrò dirlo: addio e a mai più.

SE potrò dirlo. SE potrò farlo.

Così costringo tutta me stessa a tenere i piedi per terra. Potrebbe essere un altro no. È normale. Succede nella vita, sempre. Non è sbagliato, è il corso delle cose. Ma io quel corso vorrei prenderlo, ribaltarlo, sbatterlo come un vecchio tappeto e poi buttarlo nel secco. Tenetevi quel fottuto tappeto. Non lo voglio.

Ho cercato di ignorare quella parte di me. Quella che mi accende, che mi fa sentire viva. Ho provato a schiacciarla, ma appena trova uno spiraglio pouf, ecco che ritorna. Prepotente, testarda. Si impossessa di me, e io non riesco a non cederle. Si insinua sotto la pelle, mi fa sognare. Mi ricorda quando da ragazzina, dodicenne e in pubertà, ascoltavo musica romantica mentre guardavo fuori dal finestrino, immaginando un mondo in cui ballavo anche se non l’avrei mai fatto, perché rigida come un tronco e timida all’inverosimile. Ballare mi faceva sentire stupida. Lo provo tutt’ora.

Quello dei trent’anni invece, sembra più un canto, una di quelle voci tanto belle da sollevarti la pelle.

Non riesco a resistergli.

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Script test

  1. L’utente visualizza la propria dashboard;
  2. Tra le icone a disposizione sulla dashboard, l’utente può scegliere tra “vita” o “lavoro”, caratterizzate rispettivamente dai colori blu e grigio;
  3. L’utente clicca su “vita”, ma il pulsante non si accende;
  4. L’utente clicca sul pulsante “lavoro”;
  5. L’utente accede all’area “lavoro”, dalla quale può visualizzare i relativi dettagli;
  6. L’area “lavoro”, in basso a destra, mostra una dicitura cliccabile denominata “visualizza opzioni avanzate”
  7. L’utente accede alle opzioni avanzate;
  8. Una volta effettuato l’accesso all’area sopracitata, l’utente si schianta su una pagina con sfondo bianco, apparentemente errata, caratterizzata dalla seguente dicitura:

“Error 404: ti ho preso in giro. Il pulsante “vita” non esiste. Lavora, str***o”

L’utente torna alla pagina precedente. L’utente clicca sul badge posizionato in alto a destra sulla pagina, caratterizzato dalle sue iniziali. L’utente clicca sul badge. L’utente effettua il logout.

L’elenco puntato iniziava a darmi sui nervi. Scelta stilistica, direbbe l’artista. Io preferisco chiamarla pigrizia.

Ah, dimenticavo.

Risultato atteso: l’utente accede alle icone “vita” e “lavoro” presenti sulla propria dashboard.

Bug: (o forse no?): il pulsante “vita” non si accende.

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Puzzle

Un pezzo del puzzle va via.

Sapevo fin dall’inizio che non ne facesse parte, eppure in qualche modo si incastrava. Aveva smussato i suoi angoli, aveva adattato la sua forma con tanto sforzo. Sapeva che avrebbe rischiato di piegarsi, ma era pronto a farlo, perché conscio che non sarebbe rimasto lì per sempre.

Ogni giorno il pezzo aveva una nuova crepa, ma resisteva. Nel frattempo, cercava disperatamente l’altro puzzle, quello vero. Il suo.

Sono stata a fianco a quel pezzo fin dal primo giorno. Ci lamentavamo, le nostre parole consumavano il cartone lentamente, perché trovavamo inaccettabile stare in quel posto così scomodo. Così sbagliato. Tra noi, però, c’è sempre stato un terzo pezzo: quello saggio, forte, ottimista. Ci diceva di resistere, che capiva. Lei capiva.

Ora, il primo pezzo ha trovato il suo posto, tra decine di puzzle sparsi qua e là. Lo guardo e sorrido. Tra poco dovrò salutarlo.

Sono felice per lui e sono triste per me.

Sono felice per lui e sono triste per me.

Due volte in due mesi.

Il mio cartone è bagnato, ma so che si asciugherà, come sempre, pronto a riadattarsi ma non a piegarsi.

Piegarsi no, mai.

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Puntura indolore (o quasi)

Mi sfioro il collo e lo sento. È ancora lì. Un piccolo puntino in rilievo sulla pelle.

Due settimane fa mi ha punto una vespa e non ho sentito nulla. O almeno, quasi. Il mio cervello era spento a uno punto tale da cancellare il dolore. C’era solo l’acqua di una piscina, un trampolino, belle persone. E poi verde, tanto verde, insieme a un profumo di pino che mi pizzicava le narici.

È stato bello, quel giorno. I problemi non esistevano. Non sentivo la mia testa rimbalzare impazzita come una pallina da ping pong. Non sentivo il mio stomaco lamentarsi. Sembrava una magia, qualcosa di surreale.

Dalle undici del mattino alle undici di notte non c’è stato dolore, frustrazione, paura. Confusione.

Alle 23.30, poi, è tornato.

Ahi, ho pensato, sfiorandomi il collo.

Era finito, ma io avrei voluto che quel sogno durasse per sempre.

Sette e ventitré, mi ha ricordato una vocina simpatica nella mia mente che avrei tanto voluto prendere a pugni.

Ho chiuso gli occhi.

Un giorno finirà.

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Sebastiano

“Friggitrice ad aria” cita una copertina verde fluo.

Mah.

La libreria è disordinata, con volumi su volumi impilati sul pavimento. C’è persino un cagnetto che sonnecchia di fronte a uno scaffale sul suo piccolo cuscino. Mi viene difficile passare, ho paura di pestargli una zampa, così mi avvicino ai titoli per leggerli meglio, in punta di piedi. E di fianco al libro sulla friggitrice sta uno sui fiori. Poi uno sulla meditazione. Un altro sul mangiare sano. Li studio uno a uno, con attenzione, alla ricerca di una logica che non c’è. Sono venuta qui per cancellare le ombre, per fare chiarezza nella mia mente, ma la libreria è più confusa di me. Il cagnetto inizia ad abbaiare.

<<Sebastiano!>> lo rimprovera la commessa, poi lo prende in braccio ed esce fuori, lasciando il negozio incustodito. Continuo a girare tra gli scaffali, guardando i titoli dei volumi e delle sezioni: psicologia, fantasy, letteratura classica. Apro alcuni libri, li sfoglio, leggo qualche riga. Niente da fare. Mi arrendo.

Lascio la libreria, entro in profumeria e prendo un rossetto color mattone, poi mi passo la mano tra i capelli. Sembrano paglia. Scelgo un balsamo a caso e vado alla cassa.

Esco dal negozio e mi siedo su una panchina. Recupero il rossetto e lo smartphone dalla borsa, apro la fotocamera e passo la tinta rossa sulle labbra, poi mi guardo.

Meglio.

Rimango qualche minuto seduta di fronte alla libreria, noto la commessa chiudere la porta a chiave.

Certo che Sebastiano, per un cane, è proprio un nome stupido.