A ventisette anni ero convinta che avrei spaccato il mondo.
Avevo da poco lasciato casa dei miei, con due spicci guadagnati in un call center. Scrivevo anche libri per due spicci, per conto di altri, come ghostwriter.
“Quando diventerò ricca” ripetevo spesso. E lo dicevo anche con una certa convinzione.
Oggi sono rientrata a casa dopo aver visto il mare, e ho pensato all’ultima volta che ho scritto. Un brevissimo pezzo che risale a due, tre mesi fa.
Ormai non scrivo quasi più. Ho compiuto trent’anni e quella meravigliosa bolla è esplosa. Pouf. Li ho compiuti mentre facevo un lavoro merdoso, con cui mi sono pagata un corso.
Ho lasciato quel lavoro, ho finito il corso. “L’editoria è un casino, qui in Sardegna non si trova nulla. Non ti si filano” mi vedo mentre lo dico, con l’aria di chi l’ha accettato e ha deciso di rinunciarvi, senza troppi rimpianti. Ci ho sbattuto la testa troppe volte. “La scrittura pubblicitaria va di più, serve la SEO!” dico con una nuova luce negli occhi. Determinazione fortissima direi. “Stavolta ce la faccio”. L’ho detto quattro mesi fa.
È quel che è rimasto di un sogno che mi porto dietro da troppo tempo. Lo tengo in mano con poca convinzione, lo trascino come una bambina che ha giocato troppo con la sua bambola preferita.
La bambina va dalla mamma: “mamma, la mia bambola non parla. Perché non parla?” Beh, una bambola non può parlare, lo sappiamo no? Ma anch’io me lo son chiesta tante volte, come la bambina. “Perché non funziona? Perché mi sbatto e mi faccio il culo e mi taglio in quattro e il sogno non prende il volo?
Credo che un sogno possa spegnersi. Lo strapazzi e lo strofini e lo svisceri talmente tanto che, alla fine, perde il fascino. L’ho fatto talmente tanto che qualche giorno fa ho detto al mio ragazzo “l’alimentazione! Mi piace! Avrei dovuto studiare biologia”. Ebbè.
Si è consumato come un legnetto al fuoco. Ecco sì, penso sia successo questo.
O forse è solo colpa di gennaio. Mi fa venire pensieri tristi. Odio gennaio.