<<Ciò che vorrei non posso averlo, ciò che ho non lo voglio, non mi interessa. Capisci?>>
Non risponde. Mi guarda come io guardo lei. Il suo viso è tirato, lo sguardo confuso, le labbra atteggiate in una perenne smorfia triste.
<<A quest’ora, in questo periodo dell’anno, la mia pelle è di un altro colore, invece guardami. Guardami! Quel maledetto verdastro che è parte di me, quest’anno dovrò tenerlo. E sai perché?>>
Non risponde, di nuovo.
<<Te lo dico io, perché. Perché il mare non lo vedo più. Perché la mia vita non è più vita, è solo un susseguirsi di sveglia sette e ventitré sette e ventitré sette e ventitré per cinque giorni alla settimana finché poi arriva il sabato e posso pensare. Posso guardarmi, e quello che vedo è ciò che non avrei mai voluto. Ah, i trent’anni!>>
Batto il palmo aperto sul marmo del lavandino e subito dopo me lo porto alla bocca, come se quel gesto potesse alleviare il dolore. I miei occhi si fanno lucidi ma poi faccio un respiro profondo.
<<Non posso piangere, no. Non posso perché fa male. Se piango una volta sto male una settimana, sai? Forse anche due. Ah, ma lo sai già. Chi meglio di te!>>
Rido, e ride anche l’altra, ma dura poco.
<<Non so più niente. Non ho più me. Mi rimane questo, questi pensieri disordinati e senza senso, ma fanno schifo, sai? Non piacciono a nessuno>>
Non risponde. Mi guarda come io guardo lei. Distolgo lo sguardo dallo specchio ed esco dal bagno.
Pain sarà il mio prossimo tatuaggio.