libri – Sara Tamponi
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Dove sei finita?

Qui il mio ragazzo cercava di curare il mio mal di testa con il mare e con le pietre <3

Quando iniziai la gestione dei clienti in agenzia ero talmente entusiasta per essere arrivata “lì dentro” da dimenticare tutto il resto.

Neanche un mese dopo smisi di scrivere, accantonando le emozioni che tanto avevo rincorso.

Il ghostwriting può aspettare, mi dicevo.

La mia agenda iniziò a riempirsi di impegni che annullarono del tutto lo spazio per me stessa, ma non ne fui subito turbata; pensavo fosse giusto così, e che un giorno avrei ripreso da dove avevo interrotto.

Quel giorno però diventarono due settimane, poi un mese, poi sei. Dimenticai la scrittura, e quando mi veniva in mente scacciavo il pensiero, fingendo non fosse nulla di importante.

“Beh, S, a un certo punto anche per me è stato lo stesso. Ho smesso di scrivere perché non mi bastava. Volevo qualcosa di più. E credo che in fondo sia questa la tua strada”.

Credetti di non dare peso a quelle parole, eppure mi entrarono dentro più di quanto pensassi. Più mi allontanavo dalla scrittura, più pensavo che in fondo avesse senso.

Successe per mesi finché scoppiai.

La mia frustrazione e i miei sogni accantonati sfondarono la porta e mi fecero a pezzi. Ma, in fin dei conti, ero io l’unica responsabile; loro si erano solo limitati a ricordarmelo.

Così una sera scrissi queste parole.

Quando le rileggo, mi sembra di rivivere di nuovo quel periodo.

Non so dire quando successe.

L’unica cosa che sentivo era un forte malessere che cresceva dentro di me giorno dopo giorno, sempre più intenso e fastidioso.

Avevo dedicato talmente tanto tempo a ciò che andava fatto che a un certo punto smarrii la mia strada. L’unico vero obbiettivo era fare fare fare completare tutti i task per arrivare a fine giornata senza un pensiero per il giorno dopo.

E poi quel senso di frustrazione, di incompletezza per non essere riuscita a fare tutto. Cercavo di vivere al massimo la vita professionale, ma la mia di vita? I miei bisogni, i desideri, ciò che avrebbe dovuto avere la priorità sul resto? Stavo vivendo professionalmente la mia vita personale?

Probabilmente no.

Gli attimi di felicità non mancavano ma erano troppo brevi, un momento di euforia al quale seguiva subito una preoccupazione. E l’entusiasmo si spegneva veloce così come era arrivato, senza lasciare alcuna traccia se non una flebile sensazione, persa chissà dove, in fondo in fondo in un angolino.

Allora via una sigaretta dopo l’altra, la gola brucia ma è l’unica cosa che vuoi sentire e ti viene il mal di testa solo a pensare al prossimo compito che dovrai portare a termine. E i tuoi sogni? Dove sono? Dov’è la tua voglia di emozionarti, di crescere, di migliorarti?

E il sole? Riesci a sentire il suo calore sulla pelle? L’estate è là fuori. Aspetti sempre questo momento per bruciare al sole, ma poi fa troppo caldo e l’acqua di mare è un sollievo. I neuroni si riattivano, la pressione risale e riprendi a pensare.

Ci pensi?

Un senso del dovere che prima si affaccia alla porta e poi piano piano si fa avanti, come quando giocavi a “un due tre, stai là!” mentre contavi con gli occhi chiusi e il braccio che ti copriva il viso, appoggiato sul tronco di un albero. Un momento prima il tuo amico era a cinque metri di distanza poi, in una manciata di secondi, stava bussando alla tua spalla.

Toc, toc! Sono arrivato, ho vinto!

Il senso del dovere aveva vinto quella gara, schiacciando il suo avversario che era solo il mio bisogno di staccare la spina. Mi aveva raggiunta e inglobata, e io avevo smesso di respirare.

Respira, respira, respira.

Ti sei dimenticato di vivere, vero?

Alla fine abbandonai tutto: clienti, interviste, autori. Non ne volevo più sapere, e il solo pensiero di veder di nuovo la mia agenda così piena non mi faceva dormire la notte.

Perché quella era un’agenda riempita dai sogni di qualcun altro, e io quell’estate mi ero ripromessa che non avrei mai più messo da parte me stessa.

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Quando scoprii il ghostwriting

Ricordi il libro sull’uncinetto? 

Devo ammettere che, dopo averlo letto a distanza di tempo, l’ho trovato piuttosto noioso. Per quanto quelle creazioni colorate siano davvero carine, cimentarmi in quell’attività da persone pazienti non mi è mai passato per la testa. 

Beh, per fortuna l’universo – metaforicamente parlando – è venuto in mio aiuto, dandomi la possibilità di dedicarmi alla scrittura di qualcosa di molto più interessante.

Ma te lo svelerò tra poco, prima facciamo un passo indietro. 

Mia madre è sempre stata una persona molto spiritosa, quella dalla battuta per cui hai bisogno di un attimo per decifrarla perché magari solo lei è in grado di capirla; e, quando poi te la spiega con occhietto ammiccante, effettivamente sì, fa ridere. 

Quando scrissi il manuale ricordo che mi trovavo in cucina immersa nel delirio delle tecniche di amigurumi (in italiano, i pupazzetti che puoi creare con l’uncinetto) mentre lei stirava nella stanza a fianco, ascoltando paziente tutti i miei timori sul non riuscire a rispettare le scadenze. 

Posso dire che visse insieme a me l’esperienza. Quando finii il manuale – cosa che mi succede tutt’ora – piansi dall’emozione e lei mi prese in giro bonariamente per la mia emotività eccessiva; però, rimase sempre lì con me. Non mi abbandonò mai, neanche per un istante, ed era sempre pronta a sostenere i miei progetti. 

Ricordo che, qualche giorno dopo la fine di quell’odissea, mi chiamò in camera sua per dirmi che voleva mostrarmi una cosa: mi porse una bustina e all’interno trovai degli uncinetti in acciaio di diverse misure. Li guardai emozionata, alzai la testa e le sorrisi: sapeva perfettamente cosa significassero per me. Dopo averla ringraziata, mi guardò seria e mi disse: 

<<Questo è per aver concluso il tuo primo libro. Sono sicura che sarà uno dei tanti>>

Ero elettrizzata. Per me gli uncinetti erano solo l’inizio di una lunga strada che non vedevo l’ora di scoprire. 

Ma, per quanto i libri siano da sempre il mio più grande amore, non mi facevano guadagnare abbastanza, e neanche una settimana dopo iniziai un altro lavoro. 

Era noioso, ripetitivo, alienante ma necessario, perché mi avrebbe permesso di compiere qualche passo in più nella direzione che avevo stabilito. 

Resisti, mi dissi, e ancora oggi me lo ripeto. Coltivare un sogno richiede tempo, costanza e pazienza; e io paziente non lo sono mai stata, ma sapevo anche quanto fosse forte il desiderio di raggiungere il mio obiettivo.

Così, mi arrivò una proposta in un momento inaspettato, mentre tentavo ogni tipo di approccio nella speranza di ricevere anche solo un briciolo di considerazione. Nella testa avevo un pensiero fisso, anzi, per meglio dire un’immagine: una piccola Sara che tentava di farsi spazio tra la folla, con gli occhiali sbilenchi e un quaderno e una penna in mano: 

Ehi! Ehi! Ci sono anch’io, leggimi! 

Nel frattempo bazzicavo su ogni sito che mi capitava sotto mano per conoscere più da vicino l’identità di quella figura nascosta che nessuno conosceva, capace però di dare vita a delle storie bellissime. 

Insomma, evidentemente qualcuno un giorno aveva preso il suo binocolo e scoperto quella piccola Sara che si sbracciava, perché quel qualcuno mi scrisse. 

Era una mattina di marzo, che avevo trascorso in compagnia di clienti che si lamentavano al telefono per la loro connessione difettosa. 

Contavo i minuti in attesa della pausa e, quando arrivò, buttai un occhio al telefono e vidi una notifica: potevo leggere solo l’anteprima, ma avevo troppo poco tempo per approfondire. Una parola però mi aveva subito colpita: libro

Avevo trascorso diversi anni cercando di mettermi in contatto con una casa editrice. Intasavo le loro caselle di posta per ottenere qualsiasi cosa: mi sarebbe bastato poco per ritagliarmi il mio piccolo spazio in quella realtà. Dopo quel manuale, poi, la mia immagine mentale di pile di fogli e penne rosse si era ripresentata con forza e pretendeva di essere accontentata. 

Fatto sta che quella mattina mi contattò un’agenzia editoriale proponendomi di scrivere una storia, per la precisione una biografia aziendale. Ciò significava che, per la prima volta, avrei potuto scrivere il libro di una persona vera, con i suoi drammi e i suoi successi. Sarei diventata una scrittrice fantasma. 

L’uncinetto era stato solo l’inizio: mi aveva dato tantissime emozioni, ma stavolta si trattava di una storia vera, la prima in assoluto in cui avrei potuto finalmente mettermi alla prova.

Quella mattina, al rientro dal lavoro, chiamai mia madre con due lacrimoni giganti e la voce tremante: qualcuno aveva deciso di darmi fiducia, dunque i miei sforzi – e i miei uncinetti – erano serviti. 

Quel libro diede vita a un secondo, poi a un terzo e un quarto: i miei contatti si ampliarono e le mie capacità crebbero ogni giorno di più. 

Rimanevo sempre nell’ombra, perché sui libri il mio nome non c’era mai. 

Ero e sono una scrittrice fantasma: quelle storie vedono la luce ma non si può dire lo stesso per la mia identità. Raccolgo sogni, ne faccio tesoro e butto giù delle storie. 

Vidi così un altro tassello aggiungersi, un’altra tappa prendere forma nella mia mente. 

Le mie incertezze iniziarono a svanire, in favore di una realtà che mi vedeva rendere felice gli altri servendomi della scrittura. 

Così ho scoperto la mia passione per il ghostwriting. 

Avevo sempre amato le storie, vere o meno, e quella fu l’occasione perfetta per fare mie quelle esperienze, in un certo senso. 

Potevo scoprire le persone, aiutarle, capirle. 

E non potevo essere più felice.